Budapest – Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si appresta a visitare l’Ungheria dal 2 al 6 aprile, su invito del premier Viktor Orbán. La decisione arriva nonostante il mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale (CPI) contro Netanyahu per presunti crimini di guerra legati al conflitto a Gaza. L’ufficio del premier israeliano ha confermato il viaggio, evidenziando l’intesa tra i due leader, ma la scelta solleva dubbi sulla coerenza dell’Unione Europea e sul rispetto del diritto internazionale.
Orbán, alleato di Netanyahu, ha definito il mandato della CPI “vergognoso” e ha promesso di non eseguirlo, posizionando Budapest in contrasto con L’Aia e con la linea ufficiale dell’UE, che sostiene la Corte. Tuttavia, questa posizione non è isolata: in passato, anche altri paesi europei, tra cui l’Italia, hanno ignorato mandati della CPI, alimentando interrogativi sulla credibilità dell’Europa nel promuovere la giustizia internazionale. Inoltre, nazioni come Francia, Italia e Germania hanno dichiarato che non arresteranno Netanyahu, nonostante gli obblighi derivanti dallo Statuto di Roma.
La visita di Netanyahu rappresenta un test per l’unità europea. Mentre alcuni paesi, come Irlanda, Belgio e Paesi Bassi, si dichiarano pronti a rispettare il mandato, altri, influenzati da considerazioni politiche, sembrano adottare un approccio più ambivalente. Per Netanyahu, sostenuto da Orbán e da alcuni alleati europei, questa visita diventa un simbolo di sfida alle accuse internazionali.
Questo viaggio, il secondo all’estero per Netanyahu dall’emissione del mandato nel novembre 2023, rafforza l’immagine dell’Ungheria come paese che resiste ai vincoli sovranazionali. La domanda che emerge ora è cosa accadrebbe se Orbán accogliesse in futuro un altro leader sotto mandato, come Vladimir Putin. Una questione che mette in luce le tensioni interne all’Europa, divisa tra principi e pragmatismo.
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